Edward Hopper - Una finestra oltre il reale
Americano, classe 1882, Edward Hopper è l’artista che più di chiunque altro ha intuito l’importanza della finestra come “anima dell’edificio”, luogo dello sguardo per eccellenza sul mondo e sull’io. Una cornice che collega esterno e interno e cattura i silenzi, la luce, l’alienazione e la solitudine dell’uomo.
Nessuno meglio di Edward Hopper, artista americano tra i più rappresentativi del XX° secolo, ha reso omaggio nella sua finissima arte pittorica alla finestra quale luogo dello sguardo per eccellenza sul mondo e sull’anima. “La finestra è il focus, l’anima dell’edificio, il suo sguardo all’interno” diceva. Sono pochi, infatti, i quadri dell’artista in cui non compaia una finestra, una porta o un finestrino, una “cornice” che colleghi esterno e interno e che lasci lo sguardo libero di entrare o uscire da una stanza, un ufficio, dallo scompartimento di un treno, dalla camera di un motel o da un desolato bar notturno. Anche i paesaggi visti dalla strada si soffermano sulle facciate delle case e in particolare sulle finestre, dando a queste “aperture” un significato profondo, metafisico.
Nelle sue visioni irrorate di luce e colore, sospese tra sogno e silenzio, Hopper dipinge la solitudine urbana, l’alienazione dell’anima contemporanea rispetto al nulla e lo fa attraverso quelle “lastre di vetro” che separano il dentro e il fuori, la nostalgia e la libertà. Le sue figure desolate e assenti sono protagoniste di intensi fotogrammi che catturano lo spettatore, lo rapiscono, lo attirano dentro il quadro quasi a volerlo far diventare parte integrante di esso e renderlo partecipe di quella solitudine. Ma una solitudine che dice “siamo soli insieme”, perché guardiamo tutti allo stesso modo le facciate delle case nella calura del primo pomeriggio, gli alberi piegati lungo le strade che scappano, le finestre di notte, i frammenti di vite che rimarranno ignote.
Ogni dipinto è come un fotogramma o il trailer di un film che non vedremo mai ma di cui abbiamo situazioni, elementi, protagonisti, persi nella loro “presenza-assenza”. Non a caso l’intensità e il realismo dei suoi quadri si ritrova con tutta la sua potenza nella cinematografia contemporanea, da Alfred Hitchcock a Wim Wenders.
Se osserviamo i quadri di Hopper una cosa salta subito all’occhio: i personaggi sono quasi sempre seduti, su un letto, una sedia, una poltrona o sul marciapiede, quasi come se a un certo punto avessero deciso di fermarsi, di “mettere in pausa” la propria quotidianità. Li vediamo assorti nei loro pensieri con il capo chino oppure intenti a guardare fuori da una finestra, anelata via d’uscita, o verso un orizzonte lontano, con lo sguardo vuoto di colui che guarda ma non vede. È questo uno dei punti di vista dell’artista, una delle diverse direzioni dello sguardo del pittore e, di conseguenza, dell’osservatore: è lo sguardo dall’interno. Come nel dipinto “Morning sun”: una camera, una donna sola seduta con le braccia incrociate sulle gambe piegate, in posizione raccolta sopra un letto intatto, con lo sguardo rivolto verso una finestra da cui entra la luce del sole.
I personaggi dipinti da Hopper sono quasi sempre seduti, su un letto, una sedia, una poltrona o sul marciapiede, come se a un certo punto avessero deciso di fermarsi, di “mettere in pausa” la propria quotidianità. Li vediamo assorti nei loro pensieri con il capo chino oppure intenti a guardare fuori da una finestra, anelata via d’uscita, o verso un orizzonte lontano, con lo sguardo vuoto di colui che guarda ma non vede.
Tutto intorno il silenzio. Fuori dalla finestra un edificio, forse una fabbrica. La donna ha l’espressione assente, persa in un vuoto lontano, in un “altrove” che esce fuori dal confine del quadro e che resta ignoto allo spettatore. Nei quadri in cui la presenza umana all’interno dell’ambiente è costituita da una coppia (come in “Hotel by a railroad” (1952), la finestra sembra amplificare la condizione di solitudine e di incomunicabilità che la caratterizza: tra l’uomo e la donna è assente qualsiasi tipo di interazione; uno dei due è intento a leggere o a dormire mentre l’altro guarda fuori da una finestra o è seduto sul letto assorto nei propri pensieri, illuminato dalla solita luce tagliente e implacabile, come a ribadire che nelle città moderne l’angoscia e la solitudine si consumano alla luce del sole, dentro gli interni luminosi di case altrettanto moderne dove domina l’inerzia della soffocante routine quotidiana e il desiderio di evasione e di libertà è ridotto a poco più di un pallido scorcio di cielo.
Ma c’è anche un altro punto di vista: quello dello sguardo dall’esterno. Qui il punto di osservazione della scena è fuori, in strada e si insinua all’interno di un ambiente chiuso attraverso la finestra. Per esempio in “Room in New York” (1932) dove dalla finestra spalancata di un anonimo appartamento borghese Hopper conduce il nostro sguardo dentro l’intimità di una vita di coppia. Lui è immerso nella lettura di un giornale, lei è seduta al pianoforte e sta pigiando pigramente un tasto con un dito, senza convinzione, senza alcun coinvolgimento. Subito si capisce che ci troviamo di fronte a due persone che non hanno più nulla da dirsi, chiuse ognuna nel proprio egoismo, e che portano avanti la stanca e tediosa commedia della routine quotidiana. Ed è come se dalla finestra noi entrassimo nei loro silenzi, nella loro alienazione, quasi fosse una sorta di voyeurismo inconsapevole su quell’insanabile distanza. La finestra qui è un’apertura verso l’interno non solo della casa, ma anche del mondo interiore dei personaggi e dell’autore, una sorta di porta d’accesso all’anima.
Questo dipinto è stato accostato, per analogie di inquadratura e contenuti, al film più voyeuristico della storia del cinema, “La Finestra sul cortile” (1954) di Alfred Hitchcock che proprio dalle opere di Hopper si è lasciato ispirare per molti dei suoi film. Così anche in “Nighthawks” (1942), l’opera più famosa e riconoscibile di Hopper: il frame di un triste film in cui una donna, due uomini e un cameriere “fluttuano” nel silenzio e nel buio di un bar, in una strada deserta e oscura dove tutto è alienazione, solitudine, apatia. Dalle grandi vetrate osserviamo la scena, immobile, cinematografica, e non possiamo far altro che avvertire tutto il profondo vuoto che separa quelle vite.
“Pittore del silenzio”, potente portavoce dell’immaginario occidentale capace di influenzare il cinema, la fotografia, la letteratura e la cultura popolare con le sue immagini, i suoi “luoghi dell’anima, Edward Hopper ha saputo racchiudere in una cornice la tragica quotidianità degli uomini e delle donne del XX secolo, arrivando intatto fino a noi che ancora oggi riusciamo a sentire la forza evocativa e la sconcertante attualità delle sue bellissime tele.