I numeri della sostenibilità
Finora abbiamo chiacchierato in astratto della sostenibilità dei prodotti di uso comune e, in particolare, di quelli che ci interessano di più: i serramenti.
In astratto, siamo tutti bravi, giovani e belli; noi, di solito, di più.
Però i ragionamenti vanno fatti ‘in concreto’, cioè con i numeri e qui le cose si complicano assai e vi dovrò chiedere pazienza se il discorso si fa complicato; d’altro canto, solo i politici riescono a semplificare le cose complesse, gli ingegneri no.
Tanto per cominciare, abbiamo già visto che un’analisi di sostenibilità ambientale completa deve andare ‘dalla culla alla tomba’ del ciclo di vita del prodotto; però, purtroppo, mentre la fase iniziale della produzione di un oggetto è abbastanza ben conosciuta, la fase di utilizzo lo sarà molto meno, perché non dipende più solo dal prodotto in se, ma anche dall’uso che se ne farà. (Tutti i mitragliatori hanno lo stesso impatto di produzione, poi, quelli usati in guerra ne hanno uno diverso da quelli che restano tutta la vita in armeria, finchè sono obsoleti)
Ancor peggio se andiamo ad analizzare la fase finale: il nostro frigorifero prodotto con tanta cura ambientale e tanto risparmioso nei consumi, finirà la sua vita in un impianto di riciclo, in una discarica o abbandonato in un’ansa del Po?
Quindi, spesso, se non vogliamo inquinare il ragionamento con troppi dati ‘medi’, ‘presunti’, ‘stimati’, siamo costretti a limitare la nostra analisi di sostenibilità solo al primo dei tre momenti di vita del prodotto: la fase di produzione, dalle materie prime al prodotto finito pronto sul cancello dello stabilimento : Craddle to gate, invece di Craddle to Grave.
Quindi andremo a stimare la bontà di prodotti diversi tra di loro alternativi, supponendo che il loro utilizzo sia mediamente uguale e che la loro fine sia mediamente la stessa: ci si concentra solo sulla fase più facilmente controllabile e dove maggiori sono le possibilità per un’Azienda, di incidere direttamente.
Ristretta quindi l’analisi al solo ciclo produttivo, ci dobbiamo chiedere quante siano le variabili da prendere in considerazione.
Sarebbe bello poter definire un unico indice di ‘Impatto_complessivo’, nel quale far confluire tutte le valutazioni del caso; purtroppo un unico indice non c’è e si deve far riferimento a tanti valori diversi, ciascuno rappresentante di uno dei possibili impatti ambientali.
Cosi avremo un ‘Potenziale di riscaldamento globale’ per rappresentare quanto quel prodotto contribuisce al riscaldamento del pianeta; avremo un ‘Consumo di fossili’ per indicare quanto quel prodotto impiega energia non rinnovabile nel suo ciclo di produzione; avremo un ‘Potenziale di acidificazione’ per indicare quanto quella produzione genera sostanze che causeranno piogge acide.
Insomma, un bel po’ di metri diversi, con i quali proveremo a confrontarci.
E’ però importante sottolineare un fatto fondamentale: quasi tutti questi fattori sono influenzati dalla possibilità di utilizzare materie prime secondarie, provenienti cioè da un riciclo a fine vita delle stesse materie prime già utilizzate una o più volte.
Questo è tanto più vero quanto più alto è il costo iniziale di estrazione, la fase zero della vita del prodotto.
Quindi, l’alluminio, la cui metallurgia è estremamente energivora (e nemmeno tanto salubre), trarrà enorme vantaggio dal riciclo a fine vita, processo molto meno ‘costoso’ in termini ambientali.
C’è un’ultima attenzione da annotare, prima di passare ai crudi numeri: ogni valutazione dovrà comunque essere ‘tarata’ su un certo tipo di produzione; i cicli produttivi tipici dell’Europa possono differire di molto dai cicli produttivi che portano agli stessi prodotti in altre parti del mondo, quindi, in qualche modo, si dovrà tenere in debito conto il quadro geografico a cui ci si intende riferire.
Con questa barbosa, lunga introduzione, abbiamo definito i perimetri di una analisi sulla quale si fonda la valutazione EPD, cioè la dichiarazione di Valutazione Ambientale del Prodotto, che sempre più spesso accompagna un bene o un servizio che viene posto sul mercato.
E’ una valutazione per il momento volontaria, che viene emessa da appositi istituti autorizzati, che riporta in sintesi, i vari valori di impatto ambientale connessi alla produzione di una unità di prodotto (un kilogrammo, un metroquadro, un capo a seconda del prodotto stesso).
Nella prossima pillola, vedremo in dettaglio un EPD per i serramenti con telaio in PVC, dove, piuttosto che un singolo prodotto, si prenderà in considerazione l’intera filiera dei maggiori produttori di profili in PVC per finestre, cosi da avere un ‘punto di paragone’ che verrà utile per successivi approfondimenti.
Ing. Giovanni Tisi